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giovedì, gennaio 12, 2006

Politica. Berlusconi Show e gaf a non finire.

Da Repubblica.it

Ad uso esclusivo degli insonni Silvio Berlusconi cala nella notte il suo asso. I Ds non si sono limitati a fare il tifo per Unipol, dice: "Hanno fatto in modo che chi era proprietario di certi pacchetti di azioni Bnl li vendesse a Unipol". Bertinotti alza il sopracciglio e con la sua erre gli risponde impassibile: "Corra dunque a riferirlo in Procura". "Sto pensando di farlo, infatti". Berlusconi che va in Procura è una notizia, Berlusconi che ci va ad accusare è una notizia sensazionale. Peccato per l'ora, perché per quanto Vespa possa tagliare i prolegomeni l'esplosiva rivelazione arriva dopo due ore e quaranta di incessante e per Berlusconi faticoso duello con il leader di Rifondazione. Arriva, si direbbe, proprio a riscatto di tanta fatica. Un colpo di reni all'una e mezza di notte. Dopo aver sfiorato la crisi diplomatica con la Spagna dicendo che Zapatero non ha credibilità internazionale, dopo aver scambiato San Paolo Apostolo per un "filosofo greco", dopo aver chiamato tre volte Reagan "Donald" come Paperino, dopo aver detto che chi fa politica di mestiere è "un fannullone" ed aver suscitato l'immediata reazione di Casini, compreso nella categoria. Dopo aver boccheggiato di fronte all'incalzare del subcomandante che per quaranta minuti gli spiega con qualche competenza di cosa parliamo quando parliamo di comunismo. "Lei mi parla dei morti del passato. Tuttavia anche la tradizione liberale discende dai crimini delle imprese napoleoniche: tendenzialmente io non glieli attribuisco".
I contendenti, presentati da Vespa come "il Comunista" e "il Liberale", arrivano con due doni: Berlusconi ha portato a Bertinotti (tifoso milanista) un orologio del centenario del Milan "sottratto a fatica a un consigliere", Bertinotti ha portato una copia della Costituzione firmata dal comunista Umberto Terracini "grazie al quale io e lei siamo qui a discutere" ed è così subito chiaro il senso del confronto: orologi contro princìpi. Difatti si parte con una lezione di Bertinotti sul comunismo che mette in campo Giovanni Paolo II, i padri della Patria, "quel signore" cioè Marx e Paolo di Tarso, "che come lei Presidente sa bene diceva che il denaro è lo sterco del demonio". San Paolo apostolo, teologo ebreo di origini persiane, è per Berlusconi "un filosofo greco", "e allora io le rispondo citando Donald Reagan: chi ha letto Marx e l'ha capito è diventato liberale". D'altra parte "solo il capitalismo produce ricchezza". Bertinotti: "Si sbaglia, la Cina comunista è oggi il paese che ne produce di più". Vespa, muto da più di mezz'ora, freme: vorrebbe parlar d'altro. Il fisco, propone. Così Bertinotti può chiedere perché l'insegnante di scuola media Loredana Giunti che guadagna 1270 euro al mese e Nello Severi operaio di terzo livello a Mirafiori siano tassati con un'aliquota del 36 per cento e Ricucci con il 12 sui suoi proventi da manovre finanziarie, "e comunque solo se ha la bontà di dichiarare spontaneamente i miliardi che guadagna". Non si potrebbero portare le aliquote sulle rendite al livello europeo del 25? "Questo è un sistema fiscale di classe, forte coi deboli e debole coi forti". Il premier risponde che lui personalmente non ha voluto alzare l'aliquota del 12 sui capitali "perché ho preferito che avessero convenienza a restare in Italia". Bertinotti: "Non dica sciocchezze, se le aliquote fossero uguali in tutta Europa nessun imprenditore avrebbe uno svantaggio a preferire l'Italia a meno che lei non pensi a un'economia di straccioni e di imbroglioni, gente che prende i soldi e scappa". Berlusconi: "Lei parla con un imprenditore che non ha mai fatto affari". Bertinotti: "Ma cosa dice?". Berlusconi: "Se si riferisce al fatto che le aziende quotate in borsa sono cresciute del 54 per cento allora sì. Noi siamo imprenditori, siamo bravi. Chi fa politica da tutta la vita cosa vuole che ne sappia". Bertinotti: "Il suo capogruppo di Forza Italia ha appena bloccato l'iter della legge che redistribuisce i diritti tv fra grandi e piccole società di calcio. Lei ha un conflitto d'interesse perpetuo. Ci vuole una legge che impedisca di fare politica a chi è proprietario di grandi imprese di interesse nazionale almeno finché resta in quella condizione". "Così lei lascia la politica ai fannulloni". "Francamente faccio fatica a considerarmi un fannullone". Protesta immediata, via agenzia, di Casini: "Una caduta di stile. Sono per la difesa totale della professionalità della politica". Il dibattito procede a questo ritmo. Bertinotti dice che il 10 per cento delle famiglie possiede il 50 per cento della ricchezza e chiede che si reintroduca la punibilità dei reati fiscali, che "elimini l'Ici sulla prima casa, la lasci così sulla seconda e che dalla terza in poi tassi fortissimamente le rendite immobiliari". Berlusconi tace, fa le smorfie. Dice "dovrebbero esserci lodi continuative all'operato del nostro governo. Non ci sono solo perché l'85 per cento della stampa è comunista". Bertinotti lo invita ad andare ad informarsi alla Caritas sull'identità dei nuovi poveri, gli chiede di investire sui treni fatiscenti dei pendolari. Berlusconi risponde di avere una trattativa con la Russia per raggiungere il Pacifico dalla Transiberiana. Alla fine, gli resta Unipol. "So cose che nessuno sa". Quali, può dirle? Più avanti, forse. Ai magistrati, vedremo.